Un altro Kenya è possibile.  Di Antonello Bacci

Un altro Kenya è possibile.  Di Antonello Bacci

Dici Kenya, e pensi safari. O mare, la costa swahili. Giusto così, sia chiaro, anche perché è così che il Kenya ha voluto farsi conoscere al mondo: leoni e palme da cocco. Allo stesso tempo, però, riduttivo. Perché, tra le tante altre cose, il Kenya è una delle migliori destinazioni di birdwatching al mondo, con oltre 1.000 specie di uccelli e una varietà di habitat con pochi eguali nel continente africano. Quindi, se sei un appassionato, fai quello che ho fatto io a Natale: una telefonata a Pietro, perché quando si parte il primo punto di contatto per me è sempre la Darwin Viaggi, un volo su Nairobi, e qualche mail a uno dei numerosi e bravissimi operatori locali specializzati in birdwatching. Tutto sommato, nulla di particolarmente complicato.



Ora, la cosa spiazzante è l'itinerario. Perché magari ti aspetti di leggere Masai Mara (spoiler: c'è), Amboseli, Lake Naukuru, Samburu (parco negletto ma assolutamente straordinario), e invece i nomi delle aree da visitare non ti dicono molto. Così inizi a chiederti se davvero ne valga la pena e se non stai andando incontro a una delusione. D'altronde, pensi, se non ci va quasi nessuno un motivo ci sarà. O forse no.



Si parte, prima tappa Lake Naivasha. Elsamere Lodge, la leonessa Elsa, Nata Libera per chi ricorda ancora la TV in bianco e nero. Bellissimi panorami, risveglio favorito, diciamo così, dal verso delle tantissime aquile pescatrici africane appollaiate sugli alberi. Essendo a sole due ore di macchina da Nairobi, i locali non disdegnano una gita sul lago, che comunque difficilmente potrebbe essere definito come affollato. Come primo impatto, siamo piacevolmente sorpresi dalla varietà e dalla quantità di uccelli, oltre che dalla facilità di avvistamento (peraltro i laghi da questo punto di vista raramente deludono). Neanche il tempo di scendere dalla barca, e via che si risale in macchina. Prossima tappa…



…Il Masai Mara. Lo avevo già visitato anni fa nello stesso periodo e mi era piaciuto moltissimo, ora lo ritrovo completamente diverso. La stagione delle piogge non è ancora finita quest'anno, il cielo azzurrissimo è venato di nuvole bianche, la temperatura è piacevolmente fresca e si dorme che è un piacere. La stagione, tra l'altro, è ideale: molte specie di uccelli si mostrano nel loro piumaggio nuziale ed è uno spettacolo cui è difficile restare indifferenti. Siamo spesso soli, in giro per il parco, vuoi perché ci addentriamo in zone meno battute (ma non meno belle) o perché la ricerca ossessiva dei felini calamita molte delle macchine negli stessi posti. Tra avvistamenti alati, battute di caccia delle iene, ghepardi sonnolenti e branchi di elefanti le giornate volano, ed è già ora di voltare pagina.



Misteri del turismo. Perché quando arriva l'ora di pranzo, al Ruma National Park, ci rendiamo conto di essere l'unica jeep nel parco. Intorno a noi, giraffe elefanti e rinoceronti ricambiano il nostro sguardo sconcertato, mentre ci dirigiamo verso una delle poche aree al mondo dove osservare la bellissima antilope roana (non facilissimo, comunque). L'avifauna è clamorosa, e se la coppia di turachi di Ross che ci sorvola ci lascia a bocca aperta il resto degli avvistamenti non è certo da meno. È vero, non ci sono i felini. Ma la famiglia di rinoceronti con cucciolo che ci blocca la strada non ce li fa rimpiangere, per oggi.



Che il Kenya fosse, in tempi neanche troppo remoti, una colonia britannica è cosa nota. Ma alloggiare al Rondo Retreat Centre, nel bel mezzo della foresta di Kakamega, resta nondimeno un'esperienza straniante a dir poco. Un'affascinante struttura di metà novecento circondata da giardini all'inglese, oggi centro di preghiera, con un ristorante in cui camerieri di colore servono, in guanti bianchi, dell'ottimo cibo inglese (qualcuno avrà colto l'ossimoro). La foresta pluviale ospita primati e mammiferi vari, incluse varie specie di felini teorici (una sottospecie molto diffusa e rarissimamente visibile, spesso presentata come la grande attrazione di numerosi parchi e aree protette). Qui gli orari delle escursioni sono dettati dalla pioggia, che arriva puntuale alle cinque come il tè degli inglesi – e altrettanto fastidiosa. Ma a tutto c'è rimedio: basta sedersi in veranda a guardare i buceri in giardino con una tazza di masala chai per tornare a essere felici.



Ultimo ma non ultimo, il Lake Baringo. Ennesimo cambio di prospettiva, qui il fondale di scena è arido e secco, arbusti bassi e spinosi (aggettivo che uso a ragion veduta, se capite quello che intendo) e dirupi come scogliere di terra. C'è il lago, bellissimo, che ci regala migliaia di aironi, martin pescatori e tessitori. E poi c'è una savana apparentemente brulla e desolata, terra riarsa e apparentemente inospitale. Disabitata, se non fosse per una coppia di guide locali che come per magia tirano fuori decine di specie di uccelli mai visti prima, fino al gran finale a base di rapaci notturni.



Il viaggio finisce qui, senza aver nominato neanche en passant i vertiginosi panorami della Rift Valley, gli ippopotami e i coccodrilli del Masai Mara, i gruccioni gli storni e le nettarinie dai colori sgargianti. Un esercizio di natura, condiviso con una coppia di amici e pochissimi altri bipedi. Un modo diverso, ma straordinariamente affascinante, di (ri)scoprire il Kenya.
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