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La Baia delle Orche

Arrivarci, non è esattamente una passeggiata. Il ferry che da Vancouver ti porta a Nanaimo, su Vancouver Island, poi una strada che si smarrisce verso la parte Nord dell isola, lasciandosi man mano alle spalle le ultime tracce di abitazioni. Ci vogliono quattro ore buone per arrivare a Telegraph Cove, qualcosa di più se non indovini lo svincolo che precipita verso il villaggio e segui l ineluttabile destino della strada fino a Port McNeill. Il culo del mondo, se ce n è uno. Poche sparute casette in legno affacciate su un braccio di mare blu cobalto, punteggiato di isolette verdissime. Quando c è il sole, fai fatica a immaginare un posto più bello di questo. Uno strappo di motore e stai navigando nel Johnston Straight, cominci a scrutare la superficie. Non devi attendere a lungo. Quei lampi di spuma che fremono vicino alla costa, sono branchi di orche: e a raccontarlo così, non sembra nulla di speciale. Ma per dire le orche, bisognerebbe conoscere parole fluide, eleganti e possenti, lucide carezze. Parole bianche e nere, terribili e consolatorie. Parole liquide come lacrime di meraviglia, parole esatte e inequivocabili come le imponenti pinne dorsali dei maschi dominanti, che fendono immote l acqua per poi allontanarsi senza fretta. Ecco, ad avercele, queste parole, potresti dire le orche. Ma sono parole difficili, che lì per lì ti sembra di saperle e poi ti si nascondono nel cuore e non le sai più tirare fuori. Così. Per dire: io, dopo, sono rimasta in silenzio tre giorni. Patrizia Colagrossi