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Tanzania, Primo Movimento. La terra sotto i miei piedi

Quando finalmente ci liberiamo dall abbraccio spumoso delle nuvole, mi rendo conto che l aereo è sceso di quota più di quanto mi fossi aspettato. La montagna intorno alla quale stiamo girando è spruzzata di neve, particolarmente imbiancata sulla vetta tondeggiante. Sembra il disegno di un bambino. Lo spettacolo dura pochi minuti, il tempo di rendermi conto della terra sconfinata che ci aspetta laggiù e siamo di nuovo nel grigio inconsistente dell atmosfera. Stavolta non sono nubi, è nebbia. L aereo continua a scendere rapidamente di quota, sento il clangore dei carrelli che fuoriescono, immagino che da qualche parte debba esserci una pista (almeno lo spero!), ma non riesco a individuarla. Poi, improvvisamente, l aereo tocca terra, si rialza e tocca di nuovo, sento i motori che invertono la marcia, i freni che raschiano l aria come un enorme gesso su una lavagna di foschia, e, infine, il lento degradare della velocità e la sosta. Dico a Nunzia e a Bruno di raccattare le loro cose e ci avviamo verso l uscita. Sulla scaletta ci sorprende un freddo pungente e inaspettato, nel tentativo vano di ripararmi dal freddo, tiro su il bavero del giubbotto jeans.  Secondo voi hanno dirottato l aereo? , chiedo loro, poi finalmente poso per la prima volta nella mia vita i piedi in terra d Africa, alle pendici del Kilimangiaro. All interno dell aeroporto ci attende la nostra guida, Nuhu, un ragazzo giovane, alto e magro, dal sorriso contagioso, con lui c è Emily, l autista. L uomo che per una settimana ci guiderà a bordo del suo Defender in un sogno di terre e animali. Arusha è a un ora di macchina, lì passeremo la prima notte del nostro viaggio. Una sosta di riposo, prima di avventurarci con l entusiasmo e l inconsapevolezza dei neofiti nelle emozioni del nostro primo Safari. Giunti ad Arusha, mi chiedo semplicemente dove sia, dov è la città? So che è il capoluogo di questa regione della Tanzania, che ha circa 150.000 abitanti, ma per me è una città inesistente, invisibile. Nuhu col sorriso al quale già mi sono abituato, e che già so mi mancherà il giorno che ci saluteremo, mi fa un segno ampio con le braccia, come a dire Arusha è qui, intorno a te, ovunque. Provo a scrollarmi di dosso l idea che ho di città. Sono un occidentale, mi dico, non ho mai messo i piedi fuori dell Europa, se non per recarmi negli Stati Uniti, potenziando nei miei occhi l immagine familiare e consolidata del mio continente. Qui sono altrove, mi dico, in un altro mondo. Devo imparare a guardare diversamente, devo imparare a vedere. Lentamente inizio a mettere a fuoco il caos: vedo gli uomini, le donne, i bambini, i banchi di frutta, gli animali, (mucche e capre, neanche un antipasto di quello che vedremo tra qualche ora). Vedo i bus, carichi fino all inverosimile, di uomini, donne, bambini, animali. E ancora, a perdita, d occhio, uomini, donne, bambini, animali. Questa è Arusha, ovunque, una città di persone e animali… niente case. Due cose mi colpiscono. La prima è un uomo seduto sulle proprie gambe (ne vedremo tanti nei prossimi giorni) che vende due frutti, due di numero, non so che frutti siano, forse Nuhu me lo sta dicendo, ma io sono affascinato dalla calma di quell uomo, dalla sua attesa. Chissà quanto tempo resterà seduto sulle sue gambe prima di riuscire a vendere quei due soli preziosi frutti? Probabilmente tutto quel che ha. La seconda cosa che mi colpisce è l uccisione di una capra: c è un capanello di uomini e la capra legata con una corda, sono in mezzo alla strada, o forse quello è un marciapiede, difficile dirlo. Un ragazzo si avvicina alla capra, le solleva il collo e la sgozza. Tutto è durato pochi secondi, guardo Nunzia e Bruno, loro non si sono accorti di niente, chissà a cosa stanno pensando, chissà cosa c è nei loro cuori, il viaggio, in fondo, non è neanche iniziato.  Marco Graffi Continua - 1/3