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Sia benedetta questa nobile terra

È cominciato tutto per caso, a colazione, in Quebec. Attacchiamo discorso con una coppia di ragazzi maltesi, anche loro sono lì per vedere le balene. Ci raccontiamo incanti e disincanti delle terre viaggiate, lei a un certo punto butta lì, L anno scorso siamo stati in Botswana. Nient altro. Solo, L anno scorso siamo stati in Botswana. Ma lo dice con la faccia di chi, quella volta, l ha fregata la meraviglia e non si è più ripresa dal suo stupore. A voler essere sinceri, siamo andati in Botswana per un incantamento.  Come ti sembra? Secondo te, ci possiamo fidare?  La domanda di mia moglie non mi coglie alla sprovvista. L oggetto del suo interesse è l uomo che guida la jeep nella quale siamo comodamente seduti, una specie di boscaiolo scozzese, ruvido e di poche parole, che sarà la nostra guida nelle prossime due settimane. Quando lo avevamo scelto, quattro mesi prima, ci aveva prospettato un viaggio a stretto contatto con la natura: in tenda nei parchi nazionali, ma con tutti i comfort. Anche allora, la domanda era stata la stessa:  Ci potremo fidare? Non sarà pericoloso? . La perfetta organizzazione del campo ci fa subito capire molte cose. Due aiutanti predispongono le tende, accendono il fuoco, apparecchiano un tavolo che, con le dovute variazioni, servirà per pranzo cena e colazione. Appena fuori la tenda, due rudimentali lavandini (non saprei come altro definire due conche di tela impermeabile dove, al risveglio, viene versata acqua calda) e un parallelepipedo di stoffa verde che, contro ogni aspettativa, si rivelerà un bagno assolutamente accettabile. La sera, cena a lume di candela e visite impreviste: uno zibetto timido, una iena spavalda, due elefanti indiscreti...  Non capita spesso che i primi animali che incontri in un parco nazionale siano dei leoni...  È l alba del nostro primo giorno di safari, a pochi metri da noi un branco di una dozzina di leoni sta sbranando un bufalo. Fa freddo, ma per quanto ci riguarda potrebbe anche nevicare. I primi due rullini di diapositive se ne vanno per quel pasto cannibale. Esterniamo la nostra emozione e la nostra sorpresa a Ewan che sorride e piazza un colpo basso:  Non sarà sempre così, ci saranno anche giornate poco movimentate.  Avranno detto così anche ad Armstrong, mentre camminava sulla Luna. È il tramonto. Centinaia, forse migliaia di elefanti attraversano il fiume Chobe e si avviano lentamente verso la Namibia. A branchi di sessanta, settanta esemplari ripercorrono silenziosamente un cammino millenario in cerca di erba fresca. I più piccoli si appendono con la proboscide alla coda della madre, a mo  di Walt Disney. Una lacrima di felicità attraversa lentamente la guancia di mia moglie, inconsapevole e solitario contrappunto di quella teoria di pachidermi. Per parafrasare il buon vecchio Charlie Brown, la felicità è un cucciolo di elefante.  Questo è un posto perfetto per i ghepardi...  Siamo sbucati su una pianura punteggiata da termitai. I ghepardi hanno l abitudine di arrampicarsi sui termitai per osservare dall alto il proprio territorio di caccia. Le incredibili foto di ghepardi sul cofano delle auto, ci spiega Ewan, hanno origine proprio da questo atteggiamento. Stacchiamo un paio di appostamenti pazienti, niente da fare. Riproveremo in altri posti perfetti per i ghepardi, in giornate ideali per vedere i ghepardi. Timidi ed elusivi, i ghepardi. È passata una settimana. Ormai ci siamo abituati alla tenda, fa parte integrante del viaggio. Ad una cosa non ci abitueremo mai, sono i rumori della notte, le infinite e inquietanti variazioni del silenzio che rendono questa esperienza unica. La cosa buffa è che, una volta tornato a casa, ripensi con nostalgia anche a quelle lunghe ore insonni, a domandarti se è il vento a far scricchiolare quelle foglie oppure una iena che si aggira per il campo. E ti addormenti felice.  Non fate rumore e state tranquilli.  Sei tonnellate di elefante si sono piazzate minacciosamente a pochi centimetri dal cofano della jeep, sventolando rabbiosamente le orecchie. Un attimo prima si stava tranquillamente abbeverando ad una pozza defilata, adesso è lì, incongruo come un mal di denti, che ci fissa adirato. Qualcuno ha detto che l elefante è l animale più lento del creato, finché non comincia a correre. Mia moglie ed io lo fissiamo sgomenti, Ewan non sembra turbato più di tanto. Il pachiderma fa un po  di teatro e si congeda con un ultima, sdegnosa occhiata. Mentre si allontana scuote il capo enorme e le ampie orecchie ammainate come vele hanno un lieve sussulto di vento, un sussulto di rassegnata indifferenza. Comodamente seduti su un divano, ci godiamo lo spettacolo delle giraffe che vanno a bere alla pozza d acqua su cui si affaccia lo Starling Camp. Oggi e domani niente coperta di stelle, si dorme in un campo tendato. Il proprietario, originario dello Zimbabwe, ha costruito una grande terrazza sopraelevata da cui si domina il territorio circostante. Così, oggi, niente safari, ci godiamo lo spettacolo da qui. Un po  come starsene davanti al televisore, solo che lo schermo è grande alcune centinaia di metri.  Dormito bene?  Beh, veramente avremmo sentito dei rumori...  Ah, sì, era una leonessa che radunava il branco per andare a cacciare... Non vi avrà mica spaventato? Sarà passata ad almeno tre-quattrocento metri da qui... Su, vestitevi che andiamo a cercarla.  Come fai a non volergli bene, a uno così? Davanti al fuoco, con un gin tonic in mano, aspettando la cena. Chiacchieriamo amabilmente con Ewan, che si dimostra persona di grande cultura e vasti interessi. È nato in Swaziland, dove suo padre, pilota della R.A.F., era stato trasferito su sua richiesta; poi ha girato il mondo, studiando in Gran Bretagna e in Sud Africa, fino a stabilirsi qui in Botswana per lavorare come guida turistica nei parchi.  Non riesco ad immaginare modo migliore di vivere e di morire , dice. Neanch io.  Ha visto qualcosa.  Nel nostro giro d ispezione mattutino ci siamo imbattuti in un gruppo di leonesse. Una di queste si stacca dal branco e sembra partire in caccia. Si disinteressa di un gatto selvatico in cerca di prede e comincia a circumnavigare un facocero solitario. Molto, molto alla larga. Ma inesorabilmente. Quando il facocero si accorge della manovra della leonessa, è troppo tardi, il resto del branco gli è già addosso. Il facocero viene dilaniato ancor prima di essere ucciso. Scatto un paio di rullini, anche perché l obiettivo mi protegge dalla crudezza della scena. Siamo emozionati, ma anche un po  tristi. Tornando al campo, incrociamo un paio di jeep con a bordo i turisti dei lodge. Tutti eccitati, ci informano di aver visto dei leoni alle prese con una carcassa. Con noncuranza, raccontiamo loro che si trattava di un facocero, aggredito e sbranato da un gruppo di felini qualche ora prima, suscitandone l ammirazione e l invidia. Roba da esseri umani, l invidia. Le dieci del mattino. Scendiamo dal piccolo aereo da turismo con il quale ci siamo concessi un ultimo lusso, un sorvolo del Delta dell Okavango. Tutto il tempo passato a chiedersi se davvero ne sarebbe valsa la pena condensato in un unico, lunghissimo, magnifico istante in cui planiamo su un branco di elefanti in marcia verso l acqua. Da quassù il Delta è un uragano di colori, ocra arancio ruggine rosso verde e blu, tanto, tantissimo blu, spesse pennellate di blu luminoso in cui si specchia un cielo che da aprile a ottobre non conosce nuvole. A pranzo con Ewan e Sallie, com è andata, è stato fantastico, torneremo. Un ultimo pranzo, una breve attesa all aeroporto, poi chiamano il nostro volo. Mentre camminiamo i pochi metri che ci separano dall aereo penso alla colonna sonora che mi è ballata in testa per tutta la durata del viaggio: un Tom Waits graffiato e bevuto per i leoni che si crogiolano al sole, Hemingway di Paolo Conte nell incedere secolare degli elefanti, Dvorak e Brahms per marcare spazi e attese sconfinate. Per quest ultimo passo d addio, però, ci vorrebbe una musica di niente, da intonare a bocca chiusa, una roba che ti resta nell anima e ti estorce un sorriso quando meno te lo aspetti. Una musica povera, un singulto di tre quarti che dica la passione, lo stupore, l emozione che il Botswana ha suscitato in noi. E mentre ascolto la musica di dentro si spalancano le immagini di tanta meraviglia, mi abbandono al ricordo e cerco ancora il contatto con quella terra sacra e fiera che innalza fin qui il suo canto d amore e di dolore: fatshe leno la rona, è un sussurro, canta se stessa, la terra. Fatshe leno la rona, sia benedetta questa nobile terra.  Antonello Bacci