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Un posto nel mondo

Quando mi chiedono com'è la Tanzania, ci metto sempre un po'a rispondere. Incapace di racchiuderla in un'unica parola, mi sono sempre rifugiato nell'enumerazione degli animali, nelle infinite variazioni di albe e tramonti, attese e avvistamenti, rumori sconosciuti nelle notti stellate. E aggiungo sempre: appena posso ci torno. Ma quello lo dico più per me che per i miei interlocutori. Dal punto di vista logistico, sono due gli itinerari possibili in Tanzania. Il primo copre i parchi del nord: Serengeti, Ngorongoro, Tarangire, Manyara... Entrando nel Serengeti la prima cosa che ti viene in mente è: qui l'estraneo sono io. E ringrazi il cielo che sia così e speri che ancora sia così a lungo. La seconda cosa che capisci è: per sopravvivere qui bisogna essere grandi, forti e veloci. E non distrarsi mai. L'uomo, qui, non avrebbe scampo. L'agguato sonnolento dei leoni nell'erba bruciata della savana, la cruenta immobilità dei coccodrilli, l'insospettabile irascibilità degli ippopotami non permettono errori... E se pensate che gli elefanti siano lenti (io ho smesso di farlo), vuol dire che nessun pachiderma ha mai galoppato verso la vostra jeep per reclamare il proprio diritto di proprietà su un albero... Di Ngorongoro, un immenso cratere spento, posso dire solo che nessun documentario potrà mai rendere conto della struggente bellezza del posto, dei miracoli rosa di migliaia di fenicotteri e della nostalgia che accompagna le ombre della sera. Volendo, potrebbe già bastare per tutta una vita di ricordi. Il secondo itinerario porta a sud, ai parchi del Ruaha e del Selous, passando per Dodoma, la nuova capitale della Tanzania: il nulla all'incrocio di due strade. Per dire: gli edifici governativi costruiti a Dodoma sono sempre deserti, perché i parlamentari si rifiutano di spostarsi qui da Dar es Salaam. Ancora pochi chilometri e lo scenario cambia completamente. Al Ruaha National Park, i bungalow si affacciano sull'omonimo fiume. Ricordo che aspettavamo la cena guardando branchi di elefanti pascolare sulla sponda opposta, mentre l'oscurità cominciava ad avvolgere il parco. Non mi sembra di aver avuto nostalgia della televisione. Il Rufiji River Camp, nel cuore del Selous Game Reserve, si affaccia sull'omonimo corso d'acqua che attraversa il parco, popolato da colonie di ippopotami che, placidamente inattivi di giorno, trascorrono la notte brucando l'erba e intonando una ninna nanna di grugniti da far accapponare la pelle. Il Selous è il mondo prima della creazione, un caos primordiale di acqua e cielo che lascia senza fiato, brulicante di coccodrilli e ippopotami, elefanti, giraffe, antilopi e uccelli di ogni razza e specie... E poi sono tornato a casa. Un giorno, rincasando dal lavoro, ho intravisto qualcosa muoversi furtivamente dietro una recinzione. L'illusione è durata pochi secondi, il tempo di vedere un cane randagio sbucare stancamente da un cespuglio, ma l'emozione è stata ugualmente fortissima. E allora ho provato a immaginare l'attimo in cui, chissà quando, nel cuore di un uomo, forse un viaggiatore, si affacciò qualcosa di talmente inguaribile da richiedere la sutura di un nome nuovo, l'istante in cui si fu costretti a coniare il nome mal d'Africa. Antonello Bacci